Sensi – Intervista a Maria Cristina

Le sue opere vedono una fusione misurata di testi scritti, elementi naturali e di uso quotidiano.Nella sua ultima esposizione, un lavoro frutto della collaborazione con la fotografa Giulia Marchi dal titolo Animae, Maria Cristina Ballestraci raccoglie oggetti abbandonati e dimenticati, a cui ridona vita raccontando la straordinarietà dell’ordinario. In una mattina di marzo ho incontrato Maria Cristina per chiacchierare delle sue opere e di arte in generale. Per chi fosse interessato, molte delle opere di Maria Cristina Ballestracci sono visibili anche sul suo sito internet mariacristinaballestracci.com.

Partiamo dall’inizio: lei aveva studiato e

iniziato a lavorare come geometra. Io mi sono diplomata come geometra. Ho lavorato presso diversi studi d’architettura qui a Rimini, poi ho vinto un concorso e da vent’anni lavoro al Comune di Rimini. In parallelo però mi sono sempre occupata di arte e nella mia famiglia non sono la sola. Mio fratello Claudio, ad esempio, ha realizzato la bottiglia che tempo fa è stata esposta in Piazza Tre Martiri a Rimini. Subito dopo l’opera è “volata” in altre città europee. Inoltre, da 6 anni organizzo “Manifesta – il lavoro delle donne”, una manifestazione-contenitore d’arte contemporanea dove, in base al tema scelto, invitiamo scrittori e artisti e presentiamo spettacoli teatrali. Dall’esperienza di “Manifesta” ho poi avuto contatti e conoscenze che mi hanno aiutato ad approfondire la mia passione per l’arte.

La sua carriera artistica ha un punto d’inizio ben definito oppure è stata più una graduale scoperta del suo lato creativo nel corso degli anni?

Ho sempre avuto la “mano felice”, disegnavo e disegno con piacere e l’arte è sempre stata una mia passione. Io credo che le cose vadano avanti se tu hai una forte passione. Se ti dai dei piccoli obiettivi e sei appassionato nulla è impossibile, da qualche parte arrivi. La mia prima esposizione è merito di Graziella Biagetti, che è venuta a casa mia, ha visto i miei lavori e mi ha convinto, nel 2005, a presentare le mie opere a Cesena. È da allora che ho cominciato ad esporre; prima facevo dei lavori solo per me, il giudizio e l’interesse degli altri non era così importante. Dando un’occhiata al suo catalogo e alle immagini delle opere presenti sul suo sito mi è sembrato che ci sia una forte dimensione spirituale nei suoi lavori. Sì, certamente. É un po’ una mia filosofia di vita e non intendo solo artistica. Ad esempio, nel mio lavoro al Comune spesso, tra il pubblico che si rivolge a me, ci sono persone che vivono situazioni difficili. Quindi il contatto con il quotidiano mi regala la possibilità di raccontare tramite l’arte la realtà.

C’è stato un momento, nella sua carriera d’artista, in cui ha pensato di avercela finalmente fatta a realizzare un suo sogno? Un momento di cui è particolarmente orgogliosa?

Da quando ho cominciato alcune collaborazioni ho avuto motissime soddisfazioni. Ultimamente collaboro con un poeta, Antonio De Luca, con cui ci conosciamo solo per via epistolare, a cui ho inviato il mio catalogo e che mi ha dimostrato il suo apprezzamento. Capisci che quando hai la stima di persone che si occupano di cultura, che hanno viaggiato e visto molte cose, non puoi che essere felice. Anche sulla mia ultima esposizione, che aveva come oggetto i segreti, ho personalmente ricevuto, tramite il mio sito e tramite Facebook, messaggi di persone che avevano colto l’essenza del mio lavoro. In questi casi capisco di aver comunicato in maniera reale, trasmettendo esattamente quello che volevo comunicare, e per me questa è la cosa più gratificante.

Le faccio una domanda che ogni tanto mi viene in mente guardando l’arte contemporanea: le sue opere hanno un significato da trasmettere? Usa le sue opere per comunicare qualcosa di preciso alle persone che vengono a vedere o comprano le sue opere?

Un significato c’è, ma è un significato personale e in qualche modo catartico nei miei stessi confronti, perché è importante che l’arte mi diverta e mi appassioni. In fondo il mio significato non è fondamentale, fondamentale è che una persona si metta davanti alle mie opere e le arrivi qualcosa, anche diverso da quello che volevo comunicare inizialmente. Io, ad esempio, ho pianto davanti ad “Oloferne e Giuditta” di Artemisia Gentileschi, perché conoscevo la sua storia. Quello che conta nell’arte è l’emozione. Quindi il messaggio artistico per lei è qualcosa di emozionale, magari anche con una genesi e risultati diversi da persona a persona. Sì, personale, emozionale e anche qualcosa di istintivo. Poi, chiaramente, ogni artista ha il suo modo di lavorare, per cui, in altri casi, il ricorso a particolari tecniche o alla matematica può essere un elemento fondamentale e non interpretabile. A mio parere, anche se fai arte concettuale devi fare uno sforzo per farti capire e trasmettere qualcosa.

Nell’arte moderna non è fondamentale che un artista sia anche colui che materialmente realizza l’opera, non è considerata una mancanza il fatto che si demandi ad altri il lavoro manuale. Lei cosa ne pensa?

L’idea è fondamentale, ma per me anche la manualità è fondamentale, a me piace fare. E parlo anche di lavori manuali in genere. Per me è un piacere vedere che qualcosa nasce dalle mie mani.

C’è qualche sua opera a cui è particolarmente legata?

Sì, alcuni lavori non li venderò mai. Ad esempio un’opera, “conservare”, che è alla Galleria dell’Immagine. Si tratta di una cassaforma con sopra scritto “conservare” e che io ho usato come cornice per una poesia, una tazzina di caffè e delle sigarette. Caffè che era stato bevuto e sigarette che erano state fumate da una persona precisa. A me piace molto fermare in questo modo i momenti, il tempo. Poi c’è un’opera con dei fiori e un testo che è stato letto a Napoli quando sono stata invitata ad esporre alla Biblioteca Nazionale, per una conferenza sulla poesia. Queste sono opere a cui tengo personalmente, anche perchè sono opere che, come ho già detto, fermano il tempo e a me piace molto lavorare sulla memoria.

Ci vuole parlare un po’ di questa sua ultima esposizione alla Galleria dell’Immagine di Rimini?

E’ un progetto che abbiamo portato avanti io e Giulia Marchi, fotografa che adesso sta collaborando con Silvia Camporesi. Nasce da un incontro a Forlì, dove abbiamo deciso di realizzare qualcosa assieme; poi ho parlato con l’assessore alla cultura del Comune di Rimini, Massimo Pulini, chiedendogli uno spazio e la Galleria dell’Immagine era perfetta per quello che volevamo fare. Io ho deciso di lavorare sui cassetti e sui segreti e Giulia ha deciso anche lei di lavorare sui cassetti. Al progetto hanno collaborato la giornalista Giovanna Greco, che ha scritto il testo dell’esposizione, e i professionisti di Inedita Dimora. Posso dire di essere molto contenta che questo progetto sia tutto al femminile.

Che cosa ne pensa dell’idea di provocazione nell’arte?

Per me la provocazione è fondamentale. L’arte deve provocare qualcosa, positiva o negativa non è importante. La provocazione porta alla riflessione ed è vita, reattività. Poi devo dire che la mia forma d’arte non è provocatoria nel senso di shockante, ma nel senso che stimola emozioni e pensieri. In ogni caso, ben venga chi, come artista, va fuori dalle regole.

Se qualche giovane volesse intraprendere una carriera artistica lei potrebbe dare qualche consiglio?

Il consiglio più semplice che posso dare è di seguire le proprie passioni; in Romagna ci sono moltissimi giovani artisti bravi e talentuosi che seguono le proprie passioni, dalla musica, al teatro, alla pittura. Certo il mondo dell’arte è un mondo difficile, specie a livello di critici, gallerie d’arte, curatori. L’importante è avanzare a piccoli passi.

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